Lezioni di MATERIA MEDICA – Nux Moschata

lunedì, 19 novembre 2018 by

ATTENZIONE: le informazioni fornite nel testo non si sostituiscono al parere di un Medico competente in materia di Omeopatia, non vogliono essere suggerimenti per una terapia “fai da te” ma utili spunti di riflessione rivolti a chi desideri approfondire l’argomento o avvicinarsi alla comprensione della Medicina Omeopatica.

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Natura: frutto della Myristica fragrans

Nome latino: Nux moschata o Myristica fragrans

Nome volgare: Noce moscata

Famiglia: Miristicacee

Distribuzione: Antille, Molucche e Sumatra

La preparazione omeopatica di Nux moschata si ottiene per triturazione della noce moscata, un seme avvolto da un tessuto laciniato, rosso e molto profumato detto “macis”, presente nel frutto dell’albero della noce moscata. Tale seme è di consistenza piuttosto dura, di colore grigio e venato in superficie. La noce moscata, per l’odore ed il sapore aromatico, ha trovato da lungo tempo un impiego nelle preparazioni culinarie; è stata anche utilizzata come medicinale in caso di malattie reumatiche e colera o come afrodisiaco. I principi attivi di questo seme sono i prodotti metabolici della miristicina e della elemicina, sostanze psicoattive aventi in dosi elevate importanti effetti tossici sull’organismo: l’ingestione orale dell’equivalente di due noci moscate grattugiate è in grado di provocare un quadro tossico dopo un tempo di latenza di 3-6 ore.

Il quadro tossico è caratterizzato da nausea, vomito, dolori addominali, dolori al torace, irrequietezza, agitazione, tremori, vampate di calore, tachicardia, ipertensione, secchezza della bocca, periodi di letargia spesso seguiti da delirio ed allucinazioni.

In ambito omeopatico la Nux moschata fu introdotta nella Materia Medica da Helbing, che la sperimentò nel 1833. Gli sperimentatori hanno messo in risalto la secchezza della cute e delle mucose, la mancanza di sudorazione, la sensibilità al freddo e la sonnolenza/ stato di torpore e letargia.

Il rimedio Nux Moschata è indicato nei casi acuti e cronici, nei bambini, nelle donne, negli anziani, nei soggetti dal temperamento isterico, labili di umore, inclini agli svenimenti e ad uno stato di torpore e sonnolenza invincibili.

La patogenesi di Nux Moschata si può osservare dopo shock psicologici o forti emozioni, dopo intossicazioni, nei bambini molto magri, durante la dentizione e durante la gravidanza.

Il quadro clinico è caratterizzato da secchezza della cute e delle mucose, sonnolenza invincibile, sensazione che la testa sia ingrandita, difficoltà nel tenere gli occhi aperti, secchezza oculare, bocca secca e mancanza di sete, sensazione di pienezza gastrica dopo essere stato contraddetto, diarrea notturna o stipsi, irregolarità mestruali, amenorrea, palpitazioni, lipotimie, tosse secca dopo aver bevuto e con il calore del letto, tosse catarrale dopo aver mangiato, asma su base isterica, raucedine camminando contro vento, dolori reumatici scatenati dall’umidità e dal freddo, convulsioni, mancanza di sudorazione, labilità del tono dell´umore, riso o pianto immotivati od alternati, torpore mentale e deficit mnemonici.

Principali indicazioni cliniche sono quindi le seguenti: sonnolenza, letargia, catalessia, isterismo, corea, crampi, convulsioni, epilessia, piccolo male con assenze, ictus, astenia, lipotimie, emorragie, anemia, rachitismo, disturbi della dentizione, verminosi, gravidanza isterica, asma su base isterica, come sempre anche in associazione a farmaci convenzionali.

Per una prescrizione omeopatica basata sui sintomi mentali del paziente, gli aspetti più caratteristici della sua personalità sono l’instabilità del tono dell´umore, gli eccessi di ilarità improvvisa e spesso immotivata, i disturbi dell´attenzione, della memoria, dello stato di coscienza e della motilità.

Il paziente Nux Moschata si aggrava principalmente con gli sforzi mentali, scrivendo, conversando, pensando ai suoi disturbi e camminando all´aria aperta. Può presentare disturbi mentali in gravidanza e dopo soppressione del mestruo. Si può ammalare per collera e vessazioni, per eccitamento di tipo emozionale, per spaventi, per shock psicologici, per delusioni sentimentali, per applicazione mentale.

Come modalità dei sintomi, in Nux Moschata troviamo la lateralità destra prevalente; a volte sinistra superiore e destra inferiore. Spesso i sintomi interessano un solo lato del corpo. L’aggravamento dei sintomi avviene spesso al mattino, verso mezzogiorno, con l’aria fredda, all’aria aperta, con le correnti d’aria, durante l’inverno e durante l’estate, con i cambiamenti di tempo, scoprendosi, con il decubito sul lato dolente. Il miglioramento dei sintomi invece avviene principalmente con il caldo, con l’aria calda, con il clima secco, con il calore del letto.

Antidoti di Nux Moschata: Camph.; Gels.; Laur.; Nux-v.; Op.; Valer.; Zin-c.

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Testo: Dott. Riccardo Cremascoli, Omeopata Unicista, MD-PhD Neurologia e Neurofisiologia, Esperto in medicina del sonno

Lezioni di MATERIA MEDICA – Graphites

lunedì, 12 novembre 2018 by

ATTENZIONE: le informazioni fornite nel testo non si sostituiscono al parere di un Medico competente in materia di Omeopatia, non vogliono essere suggerimenti per una terapia “fai da te” ma utili spunti di riflessione rivolti a chi desideri approfondire l’argomento o avvicinarsi alla comprensione della Medicina Omeopatica.

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Graphites é un rimedio conosciuto soprattutto per la sua azione su lesioni cutanee eczematose che secernono un liquido sieroso e viscoso simile al miele, spesso puzzolenti e pruriginose.
Il buon Omeopata, però, dovrà riconoscere altri segni e sintomi caratteristici del rimedio per prescrivere Graphites.

Ci aiuterà sapere che la sostanza di partenza di questa medicina è in natura il carbon fossile estratto dalle miniere sotterranee. Si tratta di un materiale grezzo, poco raffinato, nero e brillante: un accumulo di atomi di carbonio legati e compattati fortemente tra loro in cristalli lamellari.

Come la sostanza da cui deriva, Graphites é un essere umano basico, semplice, spesso sovrappeso e freddoloso. Si muove con lentezza ed anche a livello mentale ha bisogno di tempo per capire, per prendere decisioni.
Attenti però a non criticarlo, perché non ha certo un gran senso dell’umorismo e facilmente si offende.
La sua sensibilità affiora quando ascolta la musica, che lo commuove profondamente. Spesso é triste ed ansioso, a volte timido ed impressionabile, piange senza motivo, soprattutto la sera.

C’é chi definisce Graphites come un diamante nascosto, un gran talento che non riesce a trionfare nonostante le sue eccellenti potenzialità. La grafite ed il diamante sono in fondo due forme diverse in cui il carbonio si organizza a livello molecolare: uno grezzo e povero, l’altro brillante, prezioso e da tutti desiderato.

L’organo d’espressione di Graphites é la pelle, che appare secca e screpolata. Le unghie sono grosse e deformi, si rompono facilmente. Nel processo di cicatrizzazione produce cheloidi, cicatrici grandi, piatte e brillanti. Il prurito può essere generalizzato.

Prescriviamo Graphites in caso di escoriazioni, ipercheratosi e ragadi nelle pieghe del corpo (inguine, collo, dietro le orecchie, sulle superfici flessorie degli arti) che si curano lentamente, soprattutto nei bambini.
Questo rimedio può essere utile anche in casi di ragadi anali associate a stipsi ostinata, con feci dure e nodose, a volte con muco. Anche nelle ragadi dei capezzoli o nelle escoriazioni della vulva e tra le cosce è un buon rimedio.

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Testo: dott.ssa Arianna Bonato, Medico Chirurgo, Omeopata, specialista in Ginecologia e Ostetricia

ATTENZIONE: le informazioni fornite nel testo non si sostituiscono al parere di un Medico competente in materia di Omeopatia, non vogliono essere suggerimenti per una terapia “fai da te” ma utili spunti di riflessione rivolti a chi desideri approfondire l’argomento o avvicinarsi alla comprensione della Medicina Omeopatica.

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Il peperoncino, allegro e piccante, è un grande alleato per la nostra salute, e non solo in cucina come spezia e nei preparati fitoterapici.

Capsicum deriva dal latino capsa, scatola: il suo frutto ci ricorda infatti una scatoletta che racchiude i semi (forma che ha in comune con il suo parente, il peperone). È originario dell’America centromeridionale, dove veniva utilizzato come alimento e rimedio fin dai tempi remoti (noto in Messico già nel VII millennio a.C., cioè 9000 anni fa). Il frutto è ricco di vitamina C, che però viene degradata durante l’essiccazione; contiene vitamina P (antiemorragica e vasocostrittrice), vitamine del gruppo B, E, K; contiene la capsaicina e la rubefacina, le sostanze che lo rendono “piccante” e sono dotate di proprietà ipocoesterolemizzanti e antiaggreganti piastriniche. Viene utilizzato in fitoterapia per alleviare i dolori muscolari e articolari, per le dermatiti posterpetiche dolorose; come regolatore intestinale, per favorire la digestione e per limitare l’effetto putrefattivo dei cibi.

Il rimedio omeopatico si ottiene dalla tintura madre preparata dal frutto essiccato con i suoi semi. Pur non essendo tra quelli usati più di frequente e molto studiati, i cosiddetti “policresti”, è un importante rimedio omeopatico.

Simile per molti aspetti a Belladonna, è tra i più importanti rimedi delle gravi infiammazioni delle mucose ipersecernenti e sanguinanti; è utilizzato nelle situazioni di flogosi acuta accompagnata da ipertermia, cioè calore, irritabilità e ipersensibilità alla luce, al tocco, al rumore, al movimento.

In Omeopatia viene utilizzato come sintomatico per le infiammazioni delle mucose irritate ed urenti di tutto il tratto gastroenterico ed urinario, accompagnate da secrezione e tenesmo: dalla gastrite ed esofagite con reflusso alle emorroidi con bruciore anale, dal tenesmo rettale alle infiammazioni urogenitali.
Viene utilizzato anche per le otiti, le mastoiditi, le faringiti.

Tipico è l’aggravamento bevendo acqua fredda o con applicazioni fredde locali, mentre migliora col calore e mangiando: è utile anche nelle nevralgie faciali con dolore delle ossa dopo esposizione al freddo.
Il “biotipo” costituzionale classicamente descritto è pletorico, arrossato e congesto, con la faccia rossa, con piccoli vasi sanguigni rossi e dilatati soprattutto sul naso; indolente e pigro, non ama l’esercizio fisico ed è soggetto ad improvvisi cambiamenti di umore, dall’allegria alla collera o alla depressione.

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Testo: dott.ssa Monica Delucchi, Medico Chirurgo, Omeopata, Internista, docente presso Centro Studi La Ruota

Lezioni di MATERIA MEDICA – Silicea

lunedì, 29 ottobre 2018 by

ATTENZIONE: le informazioni fornite nel testo non si sostituiscono al parere di un Medico competente in materia di Omeopatia, non vogliono essere suggerimenti per una terapia “fai da te” ma utili spunti di riflessione rivolti a chi desideri approfondire l’argomento o avvicinarsi alla comprensione della Medicina Omeopatica.

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Silicea – la Silice – è un rimedio ampiamente prescritto e noto da molto tempo: la prima sperimentazione omeopatica è stata condotta proprio da Hahnemann, seguita poi nel tempo da altre tre sperimentazioni.

La Silice è una combinazione di Silicio e Ossigeno, i due elementi maggiormente presenti sulla Terra. Si presenta naturalmente nella forma cristallina (quarzo) e amorfa (sabbia). Dalla silice si ricavano sia il vetro sia il cemento.
Troviamo la silice anche nelle diatomee, alghe unicellulari caratterizzate da un rivestimento costituito da silice idrata, molto duro e resistente e finemente scolpito; queste alghe nei tempi hanno costruito immensi depositi a cui le sottilissime particelle silicee conferiscono un grande potere abrasivo. L’elemento Silicio è inoltre un componente estremamente importante della matrice extracellulare (con funzione di sostegno e scambio) e dei microchip per le sue proprietà di semiconduttore.

La funzione chimica e biologica del silicio (sostegno, connessione, scambio nel vetro, nel cemento, nella sabbia ma anche nel tessuto connettivo e nei chip) bene si correla agli organi su cui il rimedio Silicea ha un effetto più frequente (il cosiddetto “tropismo d’organo”): ossa, cartilagini, connettivo, muscoli, articolazioni, cute , mucose, linfonodi, nervi.

Viene utilizzato in moltissime situazioni acute o subacute:

– caduta delle difese immunitarie con riniti, otiti, tonsilliti, sinusiti, bronchiti caratterizzate da secrezioni spesse, gialle, dure, dall’odore di formaggio vecchio, difficili da dislocare;

– ascessi dentali e tonsillari, solitamente freddi, persistenti e poco dolenti, con rigonfiamento delle linfoghiandole e possibili fistolizzazioni, suppurazioni abbondanti;

– infiammazioni con dolori pungenti come da schegge o aghi, soprattutto durante le faringotonsilliti alla deglutizione;

– demineralizzazione tissutale con danni ai tessuti di sostegno, ai connettivi ed al tessuto reticolo endoteliale (artrite, scoliosi, fragilità ossea, rachitismo, esostosi)

Alcuni sintomi vengono descritti come tipici di Silicea: sudorazione acida del cuoio capelluto o dei piedi; intolleranza al latte materno con vomito e diarrea; stipsi a causa del latte artificiale; ritardo di chiusura delle fontanelle; sensazione di spilli in varie parti del corpo, paura degli spilli, talvolta con tonalità ossessive.

In letteratura si descrive un “biotipo Silicea”, cioè un individuo che presenta determinate caratteristiche: può essere un bimbo magro, immunologicamente debole con frequenti infezioni, con sviluppo ritardato o difficoltà di crescita, irritabile, ostinato, timido; oppure un adolescente malaticcio, scoliotico, anemico, muscolarmente debole, acneico, facilmente affaticato dal lavoro fisico e mentale. Da adulto può avere un aspetto magro, fragile, vecchieggiante oppure, in alcuni casi, infantile; freddoloso, triste, è affaticato ed esaurito, rallentato nell’azione e nell’ideazione, indeciso, insicuro.
Spesso si suggerisce la prescrizione di questo rimedio quando si evidenzia la necessità di grinta interiore.

In commercio troviamo diversi rimedi affini: Silicea (che è proprio il biossido di Silicio), Silicicum acidum (acido del Silicio), Silicium metallicum (Silicio puro), Silica terra (ricavato da un terreno sabbioso), Silica marina (ricavata dalla sabbia di mare).

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Testo: dott.ssa Monica Delucchi, Medico Chirurgo, Omeopata, Internista, docente presso Centro Studi La Ruota

Il concetto e la definizione di guarigione è forse uno dei temi più divergenti tra le visioni della Medicina omeopatica e di quella convenzionale. Abbiamo già parlato del problema della soppressione sintomatica quale lettura miope e superficiale, a volte addirittura dannosa, così come ci è stata insegnata e trasmessa nei secoli: vedere sparire un sintomo non è sempre vera guarigione, se non migliora lo stato generale e la cronicità del male.

Proponiamo una bellissima disamina dell’argomento in cui si segnala che, molto spesso, il risultato terapeutico finale è basato solo su parametri sintomatologici di tipo medico-clinico, senza un’adeguata valutazione di quelli psicologici ed “esistenziali”. Sono distinte le situazioni di acuto per le quali, non disponendo di un rimedio generale più simile alla totalità, può venire applicato un rimedio solo sintomatico (che però, secondo alcuni approcci prescrittivi e metodologici, integra comunque il rimedio cosiddetto costituzionale), dalle situazioni invece in cui il rimedio costituzionale è comunque di prima scelta anche in acuto, non valutando necessario né congruo un rimedio diverso da quello di fondo. In altre situazioni, quando invece il rimedio costituzionale non è ancora stato trovato dall’Omeopata, inevitabilmente il medicinale sintomatico lo sostituisce.

Distinguendo la guarigione clinica (quella osservata dalla sparizione sintomatica dei segni di malattia) dalla “guarigione omeopatica” (che si prefigge il risanamento della totalità intima del paziente), si afferma che è solo la Medicina omeopatica che si prefigge il conseguimento di entrambe. Infatti, la risoluzione anche brillante di un’entità nosologica (cioè dei segni di malattia) è un segnale positivo ma non sufficiente a testimoniare la guarigione profonda dell’individuo.
In alcuni malati, i rimedi solo parzialmente simili promuovono brillanti risoluzioni cliniche che però si accompagnano, al contrario, a stati mentali e atteggiamenti comportamentali francamente patologici, precursori di nuovi quadri di malattia. Promuovendo infatti soppressioni sintomatologiche in maniera reiterata nel tempo, grazie a interventi solo parziali e non causali, si possono avere ripercussioni negative sul quadro generale del paziente. Si può persino osservare che, dopo un rimedio più profondo correttamente individualizzato, riemergano spesso, seppur momentaneamente, i sintomi che erano stati soppressi dai trattamenti precedenti.

Pertanto, allo scompenso organico del soggetto deve corrispondere una profonda modificazione del malessere che manifesta: l’Omeopata deve alla fine analizzare non solo il successo clinico, ma anche e soprattutto la profondità del cambiamento intimo promosso nel Paziente. Occorre che anche il malato nella sua totalità sia stato curato profondamente ed è questo che spesso diversifica l’approccio medico omeopatico da quello della medicina ufficiale.

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Testo: dott.ssa Renata Calieri, Farmacista Formatore, direttrice del Dipartimento Farmaceutica Omeopatica FIAMO

La metodologia omeopatica risulta sotto vari aspetti estremamente complessa. Essa si differenzia in molte sue caratteristiche dalla pratica clinica convenzionale, non eludendola né tralasciandola, ma ampliandola con la valutazione di molti aspetti che rischierebbero altrimenti di essere tralasciati.

Per un Medico omeopata il Paziente va valutato nel suo insieme complessivo: per questo motivo alla semeiotica clinica convenzionale, che viene applicata nel suo insieme in ogni caso, si affianca anche una metodologia propria dell’Omeopatia.
Proprio su questa “metodologia” si erigono spesso discussioni all’interno della comunità omeopatica stessa, essendoci chi difende una “verità” classica hahnemanniana.

L’Omeopatia segue certamente in tutto il mondo gli insegnamenti portanti di una metodologia classica, ma andrebbe poi confermata ed ampliata in base a dati e aspetti sia clinici che metodologici più contemporanei.
Questo articolo ci fa comprendere però come non esistano – ma vadano scacciate! – questioni di “fede”, in quanto la Medicina è in ogni caso una Scienza in continua evoluzione e perfezionamento, che spesso evolve attraverso prove ed errori e comunque in base a definiti criteri di osservazione e sperimentazione.

La disamina che proponiamo ci indica come possano essere la clinica e la realtà specifica del singolo Paziente a guidare la pratica quotidiana del curante, sempre “utilizzando tutti gli strumenti e le conoscenze utili al caso”.

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Testo: dott.ssa Beatrice Andreoli, Medico Omeopata, Nutrizionista, Agopuntore

Già all’epoca di Charles Darwin si discuteva sulla capacità o meno degli animali di provare delle emozioni associate al gruppo di appartenenza. Con gli anni, molti etologi ed antropologi hanno confermato che anche gli animali provano le nostre stesse emozioni e che esse variano in base alla specie e al modo di relazionarsi del singolo individuo.

Particolare importanza è data dal lutto, il quale comporta la perdita di un elemento del gruppo con cui l’animale è entrato in relazione. E’ conosciuto ad esempio il comportamento degli elefanti, in cui, quando si verifica la perdita di un soggetto dello stesso gruppo familiare, viene effettuata una vera e propria “veglia funebre”, durante la quale gli animali toccano ripetutamente con la loro proboscide l’elefante deceduto come per accarezzarlo; quando poi ritornano nel luogo dell’accaduto, ripetono lo stesso rito sulle ossa del defunto.

Nella nostra realtà giornaliera, vediamo questa espressione di dolore della perdita nei nostri animali da compagnia.
Sia il cane che il gatto sono animali con emozioni: quando avviene la perdita di un individuo, sia che si tratti di un conspecifico o che si tratti di un essere umano a cui erano legati, modificano i loro atteggiamenti di sempre.

Spesso, purtroppo, tutto ciò viene confuso con un problema fisico e non riusciamo ad associarlo al lutto, invece dovremmo prestare maggior attenzione: sono esseri che vivono delle emozioni esattamente come noi ed ogni emozione viene vissuta con un’espressione sullo stato di salute. Di certo non possono piangere o parlare del dolore come un essere umano, ma talvolta con una attenta osservazione potremmo essere in grado di capire.
L’Omeopatia ci offre un grande aiuto per il sostegno della cosiddetta “ elaborazione del lutto”; questa medicina dolce sembra in grado di accompagnare i nostri animali da compagnia nel superamento di questo cambiamento importante.

 

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Testo: dott.ssa Nadia Damian, Medico Veterinario, studentessa di Omeopatia

L’Omeopatia é ampiamente conosciuta come terapia complementare per la cura di malattie croniche ed acute nel singolo soggetto. Bambini, anziani, uomini e donne adulti, animali e piante sembrano godere del suo potere curativo quando l’obbiettivo non è quello di curare il sintomo, bensì di curare il Paziente che lo manifesta e lo soffre.

Pochi, però, sanno che l’azione dei granuli omeopatici sembra aver dato soluzione ad epidemie altrimenti inarrestabili in passato, in diverse parti del mondo e in determinati periodi storici.
Vari sono i casi documentati di pandemie (dal greco  pandêmon nosêma: pan = tutto + demos = popolo + nosema = malattia) prodotte da virus o batteri affrontate con ingegno, intuizione ed amorevole dedizione da Medici omeopati capaci di analizzare il terreno in cui tali infezioni si radicarono, di svolgere un’analsi “miasmatica” e di cogliere i principali quadri sintomalogici delle epidemie e delle rispettive complicanze.

Attualmente Cuba e Brasile sono tra i Paesi con maggior esperienza nell’uso dell’Omeopatia come Medicina complementare per la prevenzione e la cura delle pandemie. In questi Paesi si propongono da anni, ad esempio, medicine omeopatiche per il problema del Dengue, un’infezione trasmessa dalla zanzara “Aedes Aegypti” con potenziali complicanze emorragiche letali.

Nell’articolo qui proposto, invece, é approfondita l’analisi eziologica delle sindromi influenzali. Vi troverete i principali ceppi virali e le strategie genetiche del cosiddetto “salto di specie”. È interessante scoprire che la più micidiale tra le influenze del XX secolo, che tra il 1918 e il 1919 uccise da 40 a 100 milioni di persone e solo in Italia provocò più di 300.000 morti, non nacque in Spagna, anche se fu denominata “spagnola” durante la Grande Guerra.

Una trama da thriller, dove nessuno uscì vincitore ma dove l’Omeopatia sembrò raggiungere successi non indifferenti in Spagna e negli Stati Uniti.

 

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Testo: dott.ssa Arianna Bonato, Medico Chirurgo, Omeopata, specialista in Ginecologia e Ostetricia

 

La cosa che mi ha sempre colpito della Medicina Omeopatica, fin dall’inizio dei miei studi di Omeopata, è stata la capacità di Samuel Hahnemann di scegliere la sperimentazione come guida per un’arte che, allora, era fatta più di opinioni personali e tradizioni che da ricerche sul campo.
Il Proving, cioè la sperimentazione diretta sull’uomo sano delle sostanze che si vorrebbero poi usare in diluizioni omeopatiche come medicine, al fine di comprenderne l’azione diretta e indiretta sullo stato di salute, è sicuramente il lascito più significativo sul piano metodologico per la farmacopea omeopatica.

La scuola di Verona da anni conduce dei proving di sostanze che i suoi allievi studiano nel corso di Materia Medica, e anche di alcuni non significativamente sperimentati o per nulla sperimentati.
La partecipazione di allievi dal 1° al 3° anno e dei docenti fa comprendere quanto per un Medico omeopata sia importante apprendere direttamente dall’esperienza che cosa significhi l’azione di una medicina omeopatica. Leggere il report del Proving condotto nel 2015 presso la Scuola di Medicina Omeopatica di Verona è sicuramente un ottimo modo per capire che cosa significhi condurre un proving e quanto la Medicina Omeopatica sia profondamente radicata nella sperimentazione pratica.

 

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Testo: dott. Giuseppe Fagone, Medico Chirurgo, Omeopata, Tesoriere FIAMO

 

Il numero di Avogadro (più precisamente di Avogadro – Loschmidt), studiato a scuola da qualcuno ma sconosciuto sicuramente ai più, è sempre stata la chiave di volta di tutti coloro che sostengono l’inefficacia dell’Omeopatia, o meglio del farmaco omeopatico.

Ma cos’è in parole semplici questo numero? Indica, secondo le conoscenze della chimica, il quantitativo minimo che permette a un principio attivo di essere efficace su un organismo vivente, al di sotto del quale l’effetto di qualsiasi sostanza è da considerarsi nulla.

Noi Omeopati utilizziamo spesso farmaci omeopatici con diluizioni molto alte, ben lontane quindi dal numero di Avogadro, fino a non molto tempo fa solo empirica, ossia senza prove scientifiche.
Da alcuni anni a questa parte, però, sempre più studi scientifici indipendenti, non legati cioè al finanziamento di case farmaceutiche o da interessi privati, hanno aperto nuove ipotesi su possibili azioni del trasferimento dell’informazione attraverso un meccanismo “non-molecolare” o “meta-molecolare”.

Anche importanti studi di laboratorio condotti in vitro o su modelli animali (non soggetti quindi ad effetti placebo o da suggestione psicologica) confermano un effetto dei farmaci omeopatici sulle cellule del sistema immunitario o sui meccanismi che stanno alle basi dei processi infiammatori.

L’articolo in questione non apporta nuove ipotesi o conferme, ma evidenzia e sintetizza tutto questo, mettendo a disposizione inoltre una bibliografia essenziale composta da ben 57 riferimenti ad altri lavori pubblicati su riviste importanti.

Ricordiamo che alla base della ricerca scientifica c’è sempre la messa in discussione degli attuali dogmi e che la Medicina in particolare rappresenta una Scienza complessa, così come lo studio dell’organismo umano, di cui sicuramente non conosciamo ancora tutto.

Ma in definitiva tutti dovremmo umilmente fare tesoro dell’aforisma di Victor Hugo (1802-1885), grande scrittore francese dell’Ottocento, che disse “Medico è colui che introduce sostanze che non conosce in un organismo che conosce ancora meno”.

 

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Testo: dott. Alessandro Politi, Medico Omeopata, Medico di Medicina Generale

 

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